Lentini: sciopero della fame di un volontario del rifugio canile

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Sciopero della fame per un volontario del rifugio canile di Lentini. Il signor Caruso dell’associazione P.A.C.E. ci ha raccontato: “Non vedo oggi altra soluzione per salvare le creature che amo se non quella di compiere un atto inconsueto. Che il Signore aiuti me e i nostri canuzzi”. 

Qualche settimana ci eravamo occupati dell’appello dell’ associazione P.A.C.E. di Lentini, in merito alle condizioni del rifugio per cani da questa gestito. L’associazione chiedeva al Comune quell’aiuto economico che aveva dato fino allo scorso anno e l’inizio dei lavori del rifugio comunale, per il quale era stato approvato un progetto.

Come conseguenza del silenzio dell’amministrazione, un fondatore e volontario dell’associazione ha lanciato su Facebook una dura presa di posizione. Enzo Caruso ha infatti annunciato lo sciopero della fame affinché le istituzioni non facciano più orecchie da mercante. Abbiamo sentito il signor Caruso che ci ha detto: “Io lavoro in associazione da 15 anni, da quando è operativa. Sono statopresidente per quasi 14 anni e sono stato io a fondarla nel novembre del 2000. In atto sono solo un socio, perchè non credo nelle cariche a vita e i ragazzi e le ragazze della associazione sono cresciuti abbastanza per camminare da soli“.

Ci spiega così il motivo del suo gesto: “Un simile gesto si compie quando ogni altra via è stata percorsa con risultati scarsi o assenti. I circa settanta canuzzi che accudiamo sono microchippati e risultano appartenenti al comune di Lentini,rischiano di morire di fame o per malattia. La convenzione relativa, che prevede il rimborso spese su presentazione delle relative fatture, è scaduta a dicembre e non è stata più rinnovata. Questo significa che i “volontari” si stanno facendo carico di tutte le spese relative alla loro cura e al mantenimento. Abbiamo con ciò speso tutto quello che avevamo da spendere, ci siamo indebitati…”. 

Il signor Caruso è consapevole che il comune non naviga in buone acque ma ci dice : “Il comune di Lentini, poi ,è in dissesto finanziario. Ciò non toglie che possa e debba, come legge consente, riproporre la cifra messa a disposizione della associazione per il 2013. Cifra che è di diecimila euro l’anno. Inutile dire che è comunque una cifra non sufficiente a coprire tutte le nostre spese, ma è meglio di niente. Ferma pure la pratica per il rifugio Comunale, quando basterebbe solo convocare la ditta per la firma del contratto e iniziare i lavori”. 

Conclude così l’intervista: “C‘è a chi queste cose stanno a cuore, tanto a cuore che è disposto a mettersi in gioco con una forte protesta. Se a chi amministra interessa poco il destino di tante creature a quattro zampe, la stessa cosa non si può dire per molti cittadini e cittadine. Persone che dentro o fuori l’associazione hanno scelto di dare spazio alla pietà e si sono chinati per offrire loro una ciotola ed una carezza. Ma vedono anche attorno a loro in ogni angolo e in ogni strada malattia e morte”.

Infine il signor Caruso ci tiene a precisare che non si crede un eroe e lo fa con queste parole: “Io non sono e non voglio diventare, sia chiaro, né una vittima né un simbolo. Sono altri i simboli da imitare, che magari non digiunano. Sono una normalissima persona carica di difetti che ha disseminato nella sua vita errori. Ma che non vede oggi altra soluzione per salvare le creature che ama, se non quella di compiere un atto inconsueto. Che il Signore aiuti me e i nostri canuzzi”.

Un modo di protestare duro, ma necessario, quello dell’associazione Proteggere gli Animali Custodire l’Ecosistema nella persone del volontario Enzo Caruso per rendere noto alla comunità la situazione. Ma soprattutto per far sì che l‘amministrazione si prenda le sue responsabilità e salvi le vite degli animali che vivono nel rifugio e di quelli randagi.

Pubblicato lunedì, 8 giugno 2015 da Federica Monello.http://www.giornalesiracusa.com/

La Dieta per salvare il Mondo

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Onu: «La dieta vegana salverà il mondo»

Le Nazioni Unite per la prima volta indicano la transizione verso una dieta priva di prodotti animali come la via da seguire per risolvere i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta.
L’inedita presa di posizione, che ricalca ciò che molte associazioni animaliste e ambientaliste dicono da tempo, quando sottolineano le buone ragioni non solo etiche, ma anche ecologiche, per passare a una dieta vegan, si leggono nell’ultimo rapporto diffuso dall’Unap, il Programma Onu per l’ambiente, pubblicato lo scorso due giugno. Nelle conclusioni dello studio dal titolo ”Assessing the environmental Impacts of Consumption and Production”, gli scienziati mettono in guardia sui rischi della prospettiva in cui all’incremento in corso della popolazione mondiale corrisponda un aumento dei consumi di carne, pesce, latte e uova, che avrebbe conseguenze ambientali devastanti prevenibili solo con un drastico cambiamento delle abitudini alimentari mondiali e la rinuncia all’utilizzo, da parte di tutti, dei prodotti animali.
Secondo le proiezioni pubblicate quest’anno dalla FAO, infatti, l’attuale modello culturale e la diffusione del consolidato stile di vita occidentale porterà la produzione di carne a più che raddoppiare entro il 2050 (arrivando dagli attuali 228 milioni di tonnellate a 463 milioni).
Senza un’inversione di tendenza, si tratterà di un vero e proprio disastro ambientale i cui effetti sono calcolabili già adesso, visto che l’insostenibilità dell’attuale modello emerge da tutti i dati messi in evidenza nei rapporti dell’ organizzazione intergovernativa, senza che però da questa consapevolezza siano scaturite mai concrete iniziative politiche.
Il rapporto Onu indica la zootecnia tra le prime voci delle priorità da affrontare nel prossimo futuro, riconoscendo l’allevamento degli animali come una delle cause primarie all’origine dell’inquinamento e del riscaldamento globale, che provoca all’ambiente più danni rispetto alla produzione di materiali per l’edilizia, come sabbia e cemento e materiali come plastica e metallo, e sottolinea che le coltivazioni per i mangimi animali sono dannose come il consumo di combustibili fossili. 
Ma la zootecnia è, soprattutto, uno degli ambiti in cui è maggiore lo spreco delle risorse. In termini strettamente energetici, infatti, come spiega dettagliatamente il Neic (Nutricion ecology International Center), l’allevamento degli animali ”da reddito” è uno degli investimenti meno proficui e gli animali sono come ”fabbriche di proteine alla rovescia” poiché il funzionamento del loro metabolismo fa sì che il capitale investito nella produzione di carne sia poi restituito in modo drasticamente più basso.
Basti pensare che servono 25 kcal di cereali per ottenere un solo kcal di carne bovina, 11 volte più rispetto all’energia necessaria per la produzione di grano, che ammonta a 2,2 kcal circa. E il rapporto è di 57:1 per la carne di agnello, 40:1 per quella di manzo, 39:1 per le uova, 14:1 per il latte e la carne di maiale, 10:1 per il tacchino, 4:1 per il pollo.
E mentre il settore zootecnico consuma le calorie che potrebbero sfamare le popolazioni del sud del mondo, fa anche peggio con l’acqua che porta via, visto che, oltre all’8% di acqua potabile mondiale che serve ad abbeverare direttamente gli animali reclusi negli allevamenti, è enorme la quantità necessaria per coltivare i foraggi che li nutrono.
A conti fatti, per ottenere un chilo di manzo da allevamento intensivo si sprecano duecentomila litri d’acqua a fronte dei duemila che bastano, ad esempio, per la stessa quantità di soia dal valore nutritivo comparabile.
Se poi si pensa che allevare gli animali produce più emissioni di gas serra rispetto al settore dei trasporti e ben il 64% dell’ammoniaca totale, che concorre all’acidificazione degli ecosistemi e alle piogge acide, è chiaro come la zootecnia contribuisca anche a complicare gli sforzi per la conservazione della biodiversità. Secondo l’ultimo rapporto Fao il 10% delle specie protette rischiano l’estinzione per cause riconducibili direttamente gli allevamenti intensivi, perché il 26% delle terre libere dai ghiacchi è destinato all’allevamento e soggetto a deforestazione e erosione, mentre le deiezioni animali, prodotte in quantità che i terreni non sono in grado di smaltire, contaminano gravemente gli ecosistemi acquatici.
Cambiare le cose, però, stavolta, è alla portata di tutti. Negli ultimi paragrafi del rapporto Onu, nel capitolo sui consumi, gli scienziati indicano chiaramente la via da seguire, sottolineando quanto sia diretto il rapporto tra dieta e salvaguardia del pianeta e come scegliere i prodotti animali comporti un ben maggiore impatto rispetto ai prodotti vegetali. Poche volte come in questo caso la responsabilità di salvare il mondo passa in concreto dalle scelte quotidiane.

Leonora Pigliucci
(liberazione.it)

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