Quando diciamo «mucca da latte«, tutti immaginiamo che questi animali producano «automaticamente» latte. Senza soffermarci a pensare alla somiglianza con la nostra stessa specie, visto che invece lo producono allo stesso identico modo di ogni altro mammifero, donne umane incluse: solo quando partoriscono un figlio. Nessuna femmina di mammifero è in grado di produrre latte senza partorire! Cosa accade dunque a queste mucche? Vengono ingravidate (di solito con l’inseminazione artificiale), dopo nove mesi partoriscono e il loro figlio viene portato via a poche ore o giorni di vita. Immaginate lo strazio della madre e del figlio…
Il vitellino viene tenuto in un piccolo recinto, senza nemmeno la possibilità di correre e giocare con gli altri malcapitati cuccioli. Viene nutrito con una dieta inadeguata, povera di ferro in modo che la sua carne rimanga bianca (è così perché è anemica, anche se non ci si pensa mai e la si considera più «leggera» e «digeribile» della carne rossa) e possa essere venduta con l’etichetta di «vitello a carne bianca». A soli sei mesi, quindi ancora cucciolo, viene mandato al macello.
Il dolore del piccolo dura per tutta la sua breve vita; quello della madre è ancora maggiore, perché si rinnova con l’allontanamento del suo successivo figlio, in un tormento che si ripropone e si somma di anno in anno. Sì, perché, come per tutti i mammiferi, donne umane incluse, la produzione di latte dura solo per un certo periodo. Poi serve un’altra gravidanza per ricominciare, specie se si vuole estrarre dalle mammelle gonfie e doloranti, malate di mastite, una quantità abnorme di latte, 10 volte quella che l’animale produrrebbe in natura per suo figlio.
La mucca «da latte» (e ora sappiamo che questa definizione va tradotta nella realtà in «sfruttata per produrre latte«) viene fatta partorire, sistematicamente, una volta l’anno. Ogni volta deve subire il dolore del figlio che le viene strappato e che non può accudire. Tra i suoi figli, solo una femmina verrà risparmiata, quella che prenderà il suo posto quando lei non sarà più in grado di produrre abbastanza latte e verrà quindi macellata.
Questi animali vengono sfruttati in una maniera così intensa che alla fine non si reggono più in piedi e devono essere caricati sui camion con un argano. Sono le cosiddette «mucche a terra», di cui ogni tanto si sente parlare (non troppo, per non turbare la coscienza dei consumatori). Le mucche, trattate come «macchine da latte» anziché da esseri senzienti quali sono, hanno una «durata» sempre minore: da un ciclo di 6-7 anni ora sono arrivate a 2-3 anni, dopodiché sono da «rottamare», inutilizzabili.
Qual è quindi la loro fine? Quando giunge l’ora decisa per la loro morte, i bovini, che siano maschi o femmine, «da carne», «da latte» o vitelli di scarto, vengono portati al macello e uccisi senza pietà.
Non vi è dunque modo di produrre latte senza uccidere animali. Non sarebbe fisicamente ed economicamente possibile mantenere fino alla loro morte naturale tutte le mucche e tutti i loro figli. Se si vuole il latte, bisogna far uccidere, esattamente come per la carne e per le uova. E questo è un motivo validissimo per evitare latte e latticini.
(Testo liberamente tratto dall’e-book «Perché vegan – Una scelta per il bene di tutti: animali, ambiente, noi stessi» – Scaricalo grtuitamente).