No alla lana d'angora

 

  No alla Lana D’angora vince la moda cruelty free

Dopo il video denuncia della Peta (People for the ethical treatment of animals), che documenta le crudeltà compiute sui conigli d’angora in alcuni allevamenti cinesi, molte grandi firme hanno deciso di sospendere la vendita dei capi realizzati con la lana di questi animali.
Stop all’utilizzo di lana di angora da parte della Lacoste. Questa la vittoria ottenuta dall’associazione per la difesa degli animali.
La grande azienda di abiti francese ha deciso di chiudere il commercio di indumenti che utilizzavano questo tipo di lana, per lo sviluppo di una moda cruelty free, cioè senza alcun materiale di origine animale
La lana d’angora è un tipo di lana morbida e calda che viene prodotta con il pelo di coniglio d’angora. Tuttavia, un video girato nel 2013 dalla Peta ha messo in luce l’orrore di un particolare allevamento cinese in cui ai conigli veniva letteralmente strappata di dosso la pelliccia mentre erano ancora vivi e coscienti legati su una tavola di legno.

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Ed è proprio dagli allevamenti cinesi che molte grandi aziende di abbigliamento acquistano la lana di angora.
Anche il gruppo spagnolo Inditex, proprietario fra gli altri dei marchi Zara, Bershka, Pull & Bear e Massimo Dutti, non produrrà più indumenti con lana d’angora, dopo la denuncia della Peta delle torture sui conigli.
La multinazionale ha, inoltre, deciso di donare la sua produzione d’angora rimanente dello scorso anno alla Ong (Organizzazione non governativa) Life for relief and development, alla quale consegnerà 23 mila capi d’abbigliamento per i rifugiati siriani del sud del Libano.
Così come Inditex, altre grandi firme fra le quali Calvin Klein, Stella McCartney, H&M, Tommy Hilfinger o French Connection hanno rinunciato alla lana d’angora dopo la denuncia di Peta.

Vittoria anche sul  Gruppo Italiano Benetton 

Benetton: dopo una protesta durata un giorno intero in tantissimi punti vendita dell’azienda italiana e sulle sue pagine social, è arrivata l’immediata presa di posizione del gruppo. In un comunicato diffuso sul proprio sito web, Benetton «conferma la decisione di smettere di usare lana d’angora nelle sue collezioni di tutto il mondo». La linea d’abbigliamento italiana ha assicurato che la scelta si ripercuoterà su tutti gli oltre seimila negozi Benetton sparsi nel mondo.

Come è iniziata la protesta che ha portato alla vittoria :

Il 4 giugno anche Benetton si è unita alla lista dopo le proteste di centinaia di dimostranti davanti al suo negozio di Regent Street a Londra, di invio di 30.000 mail e più di 340.000 tweet. La ditta italiana ha annunciato “la decisione di interrompere l’uso di lana d’angora in tutte le collezioni vendute a livello mondiale […] In linea con l’impegno di lunga data di United Colors of Benetton verso le tematiche sociali, compreso il benessere degli animali, abbiamo già interrotto l’uso dell’angora nella nostra produzione. Una volta terminato l’inventario attuale, nei negozi Benetton non saranno più disponibili prodotti in lana d’angora”.

Dichiara Peta: “Siamo lieti che Benetton abbia aderito alla lunga lista di aziende senza angora. Una decisione non da poco, visto che l’azienda italiana conta ben 6000 punti vendita sparsi nel mondo “. Il 90 % della produzione mondiale dell’angora proviene dagli allevamenti cinesi, e il prezzo di mercato varia tra i 25 e i 34 euro al chilo. La pratica che si dovrebbe usare è la tosatura, ripetuta ogni 3 mesi per tutta la durata della vita dell’animale, che di norma vive in allevamento 2/3 anni, molto meno di quanto potrebbe in condizioni normali (fino a 10 anni). Ma l’angora di qualità superiore, quella più lunga e più pregiata, che dà maggior profitto perché può essere venduta addirittura a più del doppio del valore di mercato. è quella che si ottiene scuoiando i conigli vivi. Come mostra il video di Peta girato nel 2013 da un attivista infiltrato in 10 allevamenti nelle province cinesi di Jiangsu e Shandong.

In stanze zeppe di gabbiette, gli animali vivi vengono appesi o legati ad assi di legno per poi essere spellati mentre gridano dal dolore. Poi nudi, sanguinanti, terrorizzati, in profondo stato di sofferenza e anche di agonia vengono rimessi in piccole gabbia e tenuti al gelo allo scopo di produrre velocemente altro pelo, che ricresce dopo circa 2/3 mesi, poi si ricomincia a strappare di nuovo la loro pelliccia. Questa pratica viene ripetuta ogni 2/3 mesi per circa 2 anni, cioè fino a quando il pelo non ricresce più, quindi vengono sgozzati e venduti come carne di seconda qualità. Nonostante i capi d’angora siano ancora facilmente acquistabili on line su vari siti, come riportano le etichette all’interno dei prodotti: Angora fur, angora rabbit,, angora wool, angora wolle, rabbit angora fur, Peta annuncia che “in Cina nel 2013/2014 le esportazioni di angora sono diminuite del 74%”.

L’organizzazione Peta consiglia ai consumatori, durante l’acquisto di un capo, di leggere bene l’etichetta di quel che comprate.
All’interno controllate che non ci sia scritto:
ANGORA FUR
ANGORA RABBIT
ANGORA WOOL
ANGORA WOLLE
RABBIT ANGORA FUR

Se lo trovate scritto, ricordatevi di queste piccole creature.

Fonte 1

Fonte 2

 

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